Tutto iniziò nel 1984, con la morte di Enrico Berlinguer; il partito comunista perde in quell’anno il suo leader amatissimo, stimato da tutti e compianto fino ad oggi (a quasi trent’anni dalla morte). Nel 1989 la botta: cade il muro di Berlino e l’impero sovietico grande alleato dei comunisti italiani vacilla pericolosamente sotto il rullo compressore della glasnost. Ecco, ci siamo: la Bolognina! Occhetto piange e si commuove, il partito cambia nome con una sofferenza luttuosa e grave: era il 1991. Ma il cammino di dolore non è finito e il PDS (che conservò fino all’ultimo lo stemma del partito comunista in seno al suo simbolo) dovette di nuovo cambiare nome e nel 1998 il PDS diventò DS e dal simbolo scomparve la falce e il martello. Ma non finì il cammino di dolore e nel 2007 il vecchio partito comunista che nel frattempo aveva cambiato nome due volte per sfuggire alla storia dovette confluire (si, esattamente, confluire) in un nuovo soggetto politico, che depurasse definitivamente la macchia rossa dal bavero di quei poveri sfortunati orfani del compianto Berlinguer. Ecco, ce l’avevano fatta, il sognatore innamorato di Kennedy, quel tale Veltroni e un manipolo di coraggiosi a confluire nell’ottobre del 2007 in una formazione che finalmente avrebbe dovuto lavare via il peccato originale con il battesimo di un nome importante a livello europeo, americano e mondiale. Nasce quindi il PD, Partito Democratico, con lo stesso nome di un altro partito, oltre oceano e con una storia di tutto rispetto. Ma scegliersi un nome importante non significa ereditare la storia di altri a cui non si appartiene. Il PD italiano nasce dalla storia tormentata di un partito alleato dell’Unione Sovietica e profondamente antiamericano che nulla ha in comune con il Partito Democratico americano che certo non può dirsi nè comunista e nemmeno poteva in passato essere filosovietico.